Muovendo dalle prospettive aperte da Lou Andreas Salomé e Donald Winnicott, questo contributo propone di superare il problema della verità delle affermazioni teologiche (le credenze) mostrando che, in realtà la valenza psicologica della religione consiste proprio nel “credere”. Lou Andreas Salomé considera il narcisismo come un’esperienza originaria di fusione con il tutto. L’individuo per tutta la vita tenderebbe a ricostituire quello stato di benessere attraverso esperienze pregnanti, quali l’amore, l’arte, la religione. In Salomé il credente “creativo” si distanzia dal “sedentario” in quanto crea, ed in un certo modo pone in essere, il suo Dio. Con Winnicott possiamo considerare la religiosità un fenomeno transizionale illusorio, se liberata dai residui dell’onnipotenza allucinatoria infantile. Come il bambino con la propria madre, anche il credente crea il Dio che trova. Si evidenzierà il guadagno teorico desumibile da questi autori. Se per il credente “creativo” di Salomé, la fede racchiude in se stessa il dubbio e la nostalgia delle origini, e se, per Winnicott, in ultima analisi la valenza psicologica della fede sta tutta nel crederci, il credente, non meno che lo psicologo della religione, è orientato alla consapevolezza della metaforicità sempre insatura del discorso religioso e, per conseguenza, anche al pluralismo religioso.
Si presentano alcune considerazioni a riguardo della psicologia della religione quale settore specifico e autonomo di indagine psicologica. Si sostiene la necessità, da una parte, di definire correttamente l’oggetto di studio, la religione e, dall’altra parte, di difendere l’approccio psicologico, in quanto psicologico, dal riduzionismo neurobiologico o dall’annessionismo psico-sociologico. Ciò che interessa lo psicologo della religione non è la religione per sé, ma ciò che accade nella psiche/mente dell’uomo quando si relaziona alla religione che incontra nella propria cultura. La religione dell’individuo si distingue dalla spiritualità, dalla ricerca di significato, dalla mindfulness per la sua caratteristica peculiare: la convinzione soggettiva di essere in relazione con il Trascendente. Questa convinzione si manifesta in credenze, sentimenti, relazioni, atti cultuali, comportamenti normati. Da una parte ciò riguarda strettamente il vissuto individuale, dall’altra trova realizzazione in una cultura specifica con forme religiose istituzionali ed un linguaggio simbolico-culturale determinato sia nel tempo che nello spazio. Ciò richiede una prospettiva psicodinamica e clinica della psicologia della religione, accanto a quella socio-culturale. L’attuale successo della psicologia sociale della religione viene ripensato criticamente nelle sue opportunità e sfide.
Viene fatta una distinzione tra coping e coping religioso, osservando come la seconda accezione rischi di essere impropria dal punto di vista epistemologico e metodologico. Il modello del coping può essere utile per comprendere qualche aspetto del comportamento religioso in condizioni di stress, ma appare poco fruttuoso per la comprensione dell’identità religiosa e delle sue eventuali derive psicopatologiche. Ciò è dovuto al fatto che il modello del coping non può esser inteso come una teoria psicologica della personalità. Per questa ragione, pare difficoltoso il suo impiego in riferimento alla salute mentale, che può essere intesa come possibile risoluzione della conflittualità psichica che caratterizza la personalità.
La “varietà” dell’esperienza religiosa si estrinseca anche nell’offerta di sistemi di significato, che hanno un particolare valore nelle situazioni di disagio e di discrepanza tra quello che è atteso-desiderato-contemplato-pensato e ciò che può improvvisamente sconvolgere piani esistenziali e progetti di vita. Operando mediante i percorsi della “conservazione” o della “trasformazione”, le religioni consentono di affrontare l’idea della morte, assieme al carico cognitivo-emotivo che essa porta con sé sia “prima”, garantendo ancoraggi utili a fronteggiare il “terrore della morte”, sia “dopo”, mediante processi che, durante le varie fasi di valutazione dell’evento luttuoso, cercano (non sempre con successo) di garantirne un benefico inquadramento nelle cornici di significato preesistenti.
Questo contributo illustra il modello multidisciplinare e integrato di conversione, elaborato da Rambo e coll., per comprendere il processo attraverso il quale le persone cambiano religione. l’idea alla base di questo contributo è che la conversione è un processo di trasformazione religiosa che si realizza in un campo di forze dinamico nel quale sono coinvolte persone, istituzioni, eventi, idee e esperienze. Lo studio della conversione deve tenere conto non solo della dimensione personale, ma anche delle dinamiche sociali e culturali che influenzano la persona.
L’opera di Ana-María Rizzuto è di rilievo decisivo per la psicologia della religione, sia per i risultati raggiunti che per la metodologia proposta: è un punto di svolta del contributo della psicoanalisi a una migliore comprensione dell’atteggiamento non solo del credente, ma anche del non credente. Tra i risultati principali offerti dalla Rizzuto, vengono sottolineate sia l’evidenziazione dei tratti inconsci della rappresentazione mentale, inclusa la rappresentazione di Dio, sia l’indicazione delle relazioni tra la rappresentazione di Dio principalmente inconscia o pre-conscia e l’atteggiamento personale verso Dio. Questo articolo si propone di illustrare alcuni minori punti critici, riferiti al concetto di ‘rappresentazione inconscia di Dio’ e propone una via percorribile per evitare le ambiguità della formulazione.
La categoria di fondamentalismo è socialmente costruita e politicamente negoziata, con significati che poco hanno a che vedere con quelli originari riferiti al protestantesimo. A proposito di Islam, per cui l’uso della categoria “fondamentalismo” è relativamente recente, occorre risalire a due diverse reazioni alla crisi culturale e politica seguita alle sconfitte militari dal XVII al XIX secolo: una “modernista”, per cui l’Islam aveva perso perché era rimasto indietro rispetto all’Occidente, e una “tradizionalista”, che attribuiva invece le sconfitte a un’eccessiva occidentalizzazione che si era allontanata dalla semplice fede dei padri. Nell’ambito della corrente tradizionalista, si sviluppano nel XX secolo prima il fondamentalismo, che è un progetto politico, e poi l’ultra-fondamentalismo, che si serve del terrorismo per perseguire i suoi scopi.
Questo articolo descrive la costruzione di un questionario che ha lo scopo di misurare la religiosità cattolica con il Metodo dei punteggi ottimali, basata sulla quantificazione di variabili nominali (conosciuta anche come Analisi delle corrispondenze) e fornire un punteggio su una scala a intervalli. Partendo da diciassette ipotesi iniziali, tradotte in altrettante domande, ne sono state selezionate nove che danno un indice di coerenza interna elevato (α di Cronbach pari a 0,87). L’analisi fattoriale tradizionale e la modellistica strutturale confermano l’esistenza di un fattore latente. Il campione è costituito da 1957 adulti italiani di varia provenienza, sia culturale sia geografica. Le correlazioni con due scale di religiosità (I-E/R e Quest) permettono di accertarne parzialmente la validità.
I simboli religiosi possono essere investiti della conflittualità psichica che caratterizza l’esperienza umana. Anche la psicosi è un’esperienza umana, che si caratterizza per la lacerazione del senso di sé e la perdita del senso di realtà. Il delirio è un esito adattativo e identitario finalizzato a suturare queste profonde lacerazioni, dove talora i simboli religiosi e l’idea della trascendenza trovano un’espressione intercettando il conflitto psichico tra fusione e scissione che contraddistingue l’angoscia psicotica.
L’esercizio della psicoterapia nell’ambito dell’etnopsichiatria impegna lo psicologo ad un costante confronto con aspetti simbolico-culturali e religiosi che non gli sono familiari, sfidando lo statuto culturale della psicologia e della pratica psicoterapeutica. L’emergere di contenuti religiosi nel corso della psicoterapia con migranti di fede islamica porta ad aprire una riflessione non solo sull’uso e sul significato che essi hanno nella dinamica intrapsichica del paziente ma anche sull’influenza delle variabili culturali nella costruzione di diversi statuti di realtà e di individuo.