La psychologie de la religion est l’étude de ce qu’il y a de psychique dans la religion. Elle cherche à rendre compte des procès psychiques sous-entendus dans le “dire Dieu” de la part de l’individu et des groupes sociaux. La psychologie, science empirique, prend comme objet un phénomène concret, observable : cet homme-ci qui, dans ce contexte culturel, se mesure à cette religion-là. Comment il le fait, à travers quels processus et interactions avec l’ensemble de sa personnalité, avec quels conflits et avec quels résultats : c’est là l’objet de la psychologie de la religion. À partir de ces considérations on tâche de montrer comment la perspective psychosociale et celle clinique offrent des parcours de recherche pour déconstruire des concepts, élaborer des méthodes, proposer des techniques de recherche.
Vergote’s work in the psychology of religion is characterized by being both fundamental and applied, both empirical and at the same time theoretical. Vergote’s is a highly complex stand in what is classically called the issue of the relationship between faith and reason. Finally the issue with which he raised substantial attention in the last century: his controversial critique of the idea that the human being would be naturally religious, Vergote’s comment on this idea, this apriori, is remarkably short and dry: “it is just an idea”.
“Fede è sostanza di cose sperate/et argomento delle non parventi” dice Dante citando alla lettera San Tommaso. Mille anni prima, un altro Tommaso, che si era proposto di non credere se non in quello che vedeva e toccava, si era sentito rimproverare “Beati coloro che hanno creduto, senza aver visto” (Gv. 20, 29). Eppure il credente continua a cercare “cose”, fatti, dimostrazioni visibili e materiali per giustificare e alimentare la propria fede. Questo apre una serie di interrogativi di interesse psicologico.
Superando la deriva concettuale soggiacente all’uso confusivo della parola “mistica” individuare alcune caratteristiche della mistica autentica quale può essere considerata dal punto di vista scientifico della psicologia e, insieme dalla rispondenza ad una visione religiosa o almeno di alta spiritualità.
Sia il non credente, sia il credente, adottano, in linea di principio, una medesima prospettiva razionale nella rilettura filosofica e psicologica. Per tale prospettiva razionale, la parola “credere” ha il senso propriamente epistemologico ben definito dal fenomenologo E. Husserl: la credenza è un sapere della ragione che non è ancora una conoscenza criticamente certa di se stessa.
Le connotazioni del “mondo” religioso del fanciullo, rimandano ad alcune caratteristiche peculiari dello psichismo infantile ed, in particolare, sembrano accentrarsi nell’egocentrismo che é, per definizione, l’opposto di quell’apertura all’Altro che costituisce la condizione necessaria dell’incontro personale con Dio. L’interrogativo si fa quindi centrale e si pone sulla possibilità stessa per il bambino, e il fanciullo, di essere religioso. La risposta dovrà uscire da una serie di considerazioni.
In recent years post-Freudian psychoanalysis has shifted its focus of interest from the origins of religion as a cultural phenomenon to a concentration on personal religion in the case-history of the individual. This change becomes evident when one analyzes the most recent contributions from psychoanalysts of different schools. The idea that psychoanalysis of religion can be fruitful only when it refers to a personal developmental path has gained increasing acceptance. The first benefit of this change is the possibility it allows for circumventing all arguments about the truth value of religious beliefs. To achieve this aim, many authors adopt the notion of the “illusory transitional phenomenon” introduced by Donald W.Winnicott.
Diversamente dalla Sociologia, che studia forme concrete di religione e il loro continuo divenire, perseguendo sempre nuove categorie interpretative e metodologie per verificarle, la psicologia della religione, orientata al funzionamento della psiche a fronte della religione, studia le strutture e i processi (le regolarità e le specificità) dell’atteggiamento della persona religiosa, assunte come sostanzialmente stabili al livello intrapsichico, del singolo soggetto, e comuni e comparabili a livello interpsichico, degli individui e dei gruppi.
La psicologia si trova oggi a “fare i conti” con due opposti orientamenti che propongono di rendere ragione della vita mentale del soggetto o in termini di strutture e processi cerebrali o in termini di codici e pratiche vigenti nell’ambiente in cui l’individuo è immerso. Alla luce dell’opposta tensione tra riduzionismo biologista e de-costruttivismo discorsivo, si cercherà di prospettare una visione della psicologia che tenga sì presente lo strutturale radicamento del mentale nel corpo (e non lo consideri quindi come astratta architettura di unità di elaborazione o flusso di operazioni computazionali) e l’imprescindibile carattere situato della vita mentale, ma che riconosca la genuina natura intenzionale (quindi non fisica, ma neanche totalmente determinata dal contesto) degli atti soggettivi attraverso cui la persona dà senso alla propria esperienza della realtà.
Psychology is today having to reckon with two opposing orientations which propose to interpret an individual’s mental life either in terms of mental processes and structures, or in terms of the codes and practices which apply in the environment surrounding the individual. In the light of the opposing tension between biological reductionism and discursive de-constructionism, an attempt will be made to put forward a view of psychology which, though taking into account the structural rooting of the mind in the body and the inescapable situated nature of mental life, also recognises the genuine intentional nature of the subjective acts through which a person gives sense to his/her own experience of reality.